lunedì 26 novembre 2007

Localismo o conformismo?

Le critiche alla Mostra del Libro di Macomer (mosse dall'organizzatrice del Festival della Filosofia di Modena, Michelina Borsari) dopo aver sollevato un dibattito su questo blog, hanno indotto a interessarsi dell evento anche Il Sardegna, l'unica testata a diffusione regionale ad aver completamente - o quasi, visto che si è limitato ad una breve presentazione- ignorato la mostra stessa.
In un'intervista all'Unione la Borsari aveva investito la Mostra di Macomer di alcune critiche che ruotavano tutte, più o meno, intorno ad una generica "accusa" di localismo, apparsa, a me come a molti, il risultato di un fraintedimento nei confronti della filosofia espositiva della Mostra, se non addiritura di una superficialità di sguardo nei confronti della cultura e della società sarde.
Tali critiche vengono quindi riprese su Il Sardegna da un intervento di Luciano Gallinari, il quale rilancia le accuse di localismo sostenendo l'esistenza di una limitante paura di confrontarsi radicata nella cultura sarda.
Questa opinione appare ancora una volta invischiata nel complesso di inferiorità che talvolta conduce gli stessi sardi a liquidare come localismo l'orientamento, proprio di una parte del movimento culturale isolano e a mio avviso del tutto sano e genuino, a coltivare l'identità specifica.
Questo movimento culturale, in effetti, piuttosto che dimostrare disperatamente le proprie doti di omologazione, prende atto che questa identità esiste ed è degna di cura.
Mi viene in mente, per spiegarmi, una metafora gastronomica: tempo fa una nota giornalista del Corriere ha decantato le virtù della "frue" (latte cagliato) del Supramonte dorgalese; lo avrà fatto pensando alla bellezza (e alla bontà, nella fattispecie) del "diverso" gastronomico, oppure pensando a quanto la frue assomiglia a quello yogurt che fa l'amore con il sapore? E' evidente che il valore aggiunto risiede nella frue e nel fare umano che la origina, e che la sua irreperibilità nei banconi dell'Esselunga, lungi dall'essere un difetto, è la dimostrazione dell'esistenza di due paradigmi incommensurabili: quello locale del cibo identitario - che sopravvive spontaneamente - e quello globale dell'industria alimentare. Gallinari, rispetto alla Borsari, propone un'accusa
rinforzata, poiché parla di "difesa ad oltranza della propria cultura isolana" il cui pessimo esito sarebbe di perseverare nella mancanza di confronto con gli altri, ritenuta addirittura un limite
"storico" dei sardi ("solita, immarcescibile paura di un confronto con gli altri"). Eppure la condizione di ogni dialogo è la diversità. L'eguale non dialoga, caso mai produce inutili
tautologie. Forse il lato oscuro non risiede nel presunto timore storico dei sardi nei confronti del dialogo, facilmente confutabile da qualunque conoscitore della cultura isolana, quanto nel timore,
metastorico e privo di patria, per il diverso, l'altro, l'irriducibule al sistema. Su tutto questo forse vale la pena di continuare a discutere.

Gianfranco Meloni

1 commento:

Anonimo ha detto...

L'intervento di Gallinari su Il Sardegna è un classico esempio di cattiva informazione. Si riprende qualcosa detto da altri e senza verificare alcunchè si pontifica e si fanno affermazioni gratuite come quella che i sardi avrebbero paura di confrontarsi. A Macomer, per come l'ho vista io e credo i tantissimi visitatori, era molto forte la presenza della cultura sarda ma era una presenza aperta al confronto con i tantissimi ospiti (editori e scrittori) provenienti da altre realtà. L'attenzione al tema dell'identità non mi è parsa ossessiva ma in linea con l'esigenza di dare un contributo originale al dibattito che, su questo tema, in tutto il mondo impegna gli studiosi e gli osservatori.