Proviamo a commettere un reato a mezzo stampa e vedere la bottiglia sarda mezzo piena anche perché – soprattutto ai piedi della Torre dell’Elefante e nei bastioni del Terrapieno di Cagliari – non costituisce più notizia dipingere una Sardegna in eterno affanno. Alcuni giornali cementati dal mattone anziché dalla completezza dell’informazione credono che repetita semper iuvant. Non sanno che aliquando scocciant. Piove? Regione ladra. Prove di reato, allora. In questa bottiglia delle metafore potrebbe campeggiare un risultato economico di tutto rispetto, ignoto a chi abita tra Stintino e San Giovanni Suergiu: dopo la sacrosanta vertenza-entrate con lo Stato, le risorse disponibili in viale Trento e dintorni in quattro anni sono cresciute di un miliardo e 400 milioni di euro, la percentuale è pari al 40 per cento. Eliseo Secci, nuovo assessore alla Programmazione, porta a casa un raccolto in un terreno concimato a lungo dai suoi predecessori e anche dalle strategia che lo stesso Secci, da presidente della commissione bilancio, aveva per anni sostenuto, anche in collaborazione con la ribelle opposizione dello scomposto centrodestra sardo. Nella stessa bottiglia potremmo mettere la vertenza sulle servitù militari che altro non hanno rappresentato che la faccia della Sardegna che difende la sua dignità istituzionale, senza sottomissioni a stellette e carri armati. C’è chi esalta l’impegno della Giunta regionale nella lotta contro la cementificazione delle coste. Ma qui gli osanna sono più Oltretirreno, nei più autorevoli quotidiani del mondo, nei servizi della Bbc. Ultimo in ordine di tempo Al-Arham che invita gli arabi a visitare “una delle ultime oasi naturalistiche del mondo, tra spiagge e silenzi stupefacenti”. E l’elenco potrebbe essere più consistente.
Ma c’è un dato che in Sardegna emerge comunque: ed è l’investimento che la Regione sta conducendo in cultura da quando in viale Trento è sbarcato l’antipolitico e l’anticomunicativo Renato Soru. Il programma Master and Back (54 milioni di euro nuragici contro i 51 che l’Italia spende in tutto il resto del Paese) sta consentendo a oltre ottocento giovani di confrontarsi col mondo, di uscire dalle cappe della spocchiosa autoreferenzialità di chi insegna negli atenei sardi, di capire che cosa vuol dire ricerca scientifica e libertà di azione di un ricercatore. Sono traguardi che in parte venivano indicati anche prima della stagione-Soru, ma si finanziava il viaggio di andata. Ora si pensa al back, al ritorno. Non si sa come andrà a finire. Ma non è una cosa di poco conto. È una rivoluzione che val bene una legislatura regionale.
In questi ultimi mesi c’è stato però un crescendo di iniziative che hanno proiettato la Sardegna sulle pagine dei più accreditati quotidiani nazionali (e questa volta in buona compagnia dei due quotidiani L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna).
Ha iniziato, come sempre, il festival di Gavoi che ha calamitato nell’Isola il meglio della critica letteraria nazionale e il top degli scrittori contemporanei. Subito dopo è stata la volta di Seneghe col festival della poesia. E Dio sa quanto ci sia bisogno di quella libertà di spirito che solo la poesia sa diffondere.
C’è stata, per la settima volta consecutiva, la Fiera del libro di Macomer. Questa volta il dato illuminante e luminoso è stata la partecipazione delle scuola, dalle elementari alle superiori. Con centinaia di alunni che si sono confrontati su testi letterari nazionali e isolani. Ed è emersa una scuola sarda vivace, attenta a quanto avviene nel mondo. La formula “la scuola sarda adotta un libro” è stata vincente, l’idea della Regione e dell’Associazione degli editori sardi Aes va sostenuta ulteriormente.
Dopo Macomer, negli stessi giorni, il quarto Forum “Passaparola” alla manifattura Tabacchi di Cagliari. Col fior fiore degli editori nazionali, dei critici. E anche qui le scuole in primo piano. E hanno capito che un’idea vincente a Londra può esserlo anche a Cagliari e dintorni.
Questa è una Sardegna che ha cambiato pelle. È una Sardegna che – fra mille sacrosante proteste, fra scioperi e rabbia dai campi alle fabbriche – vuol modernizzare l’agenda della politica sarda consociativa e inconcludente. Sembra di vedere una Sardegna che finalmente crede nella cultura: Quella che con “istruitevi, istruitevi, istruitevi” invocava Antonio Gramsci.
Nessun commento:
Posta un commento