venerdì 2 novembre 2007

Scegliere la qualità, privilegiare l’attenzione per la cultura (Roberto Serra)

Mi sono recato alla mostra del libro di Macomer per accompagnare due classi del Liceo “Baudi di Vesme” di Iglesias, presso il quale svolgo la mia attività di insegnante. È stata per gli alunni una esperienza altamente formativa, non solo per la lettura e la discussione del libro adottato, attività svolte presso la sede scolastica, ma per il fatto che gli studenti hanno avuto altresì la possibilità di incontrare ed essere partecipi della complessità e dell’interesse che la produzione editoriale in Sardegna riesce a suscitare, e ancora prendere parte attivamente ad un dibattito pubblico che è stato innanzitutto vissuto come promozione della loro personalità. Quali altre occasioni possono avere gli studenti per leggere, confrontarsi e maturare esperienze così significative? Dibattiti, autori, libri, concerti, teatro mentre tutta la cittadina veniva invasa dall’oggetto libro che intanto acquistava la forma gioiosa di potente strumento anche per la crescita economica oltre che civile di tutta intera una comunità.
Sulla scorta di tali suggestioni, riaccompagnate le classi, sono subito ritornato a Macomer, richiamato propriamente dal libro e dal senso che il largo confronto sviluppatosi sui diversi temi dell’editoria, di internet, dell’identità, della costruzione di un’economia fondata sulla cultura acquisiva ai miei occhi come insostituibile strumento di crescita civile, di riflessione intorno ad alcuni nodi problematici che catalizzano attualmente il dibattito intorno alla produzione culturale in Sardegna. Come proponeva il prof. Pierluigi Sacco, che nel corso di una conferenza rinveniva in Sardegna delle forti potenzialità per la costruzione di una economia della cultura, si tratterebbe appunto di lavorare in vista della promozione di quelle competenze alla lettura, alla fruizione della cultura che ci mettono in grado di accedere adeguatamente ad oggetti intellettualmente complessi quali sono i libri, proprio attraverso il lavoro nelle scuole e con le biblioteche dei piccoli centri che consentano di cogliere e dunque tutelare la qualità nella produzione e nella fruizione della cultura. Una possibilità che l’iniziativa dell’Aes, dell’ALSI e dell’Associazione Verbavoglio indubbiamente ha favorito e reso concreta in quel laboratorio di idee che è stata l’ultima mostra del libro. Così risultavano funzionali a questo intento inespresso, ma pienamente articolato nel corso della mostra, le diverse iniziative che si svolgevano anche al di fuori dei padiglioni della ex caserma Mura dove aveva sede la mostra, nelle librerie dunque, nelle cene con gli autori, le vetrine addobbate con i libri, gli spettacoli in piazza, la banda musicale che sfilava e la lettura di poesie nelle vie del paese. Qualcosa di molto diverso dalla pretesa della imposizione di un format, gia strutturato, semplicemente imposto al paese ospitante e che non potrebbe attuarsi se non con prospettive omologanti e al più folkloriche, come sembrava trapelare dall’intervento della prof.ssa Michelina Borsari, che in una successiva intervista, rilasciata all’Unione Sarda, tra le carenze rilevate pareva proprio sottolineare l’assenza dalla mostra di quegli elementi “scoppiettanti” che fungerebbero da maggior richiamo, proprio quelli deliberatamente tralasciati dagli organizzatori, e che forse potrebbero anche richiamare un più numeroso pubblico, ma a detrimento della qualità, dell’intelligenza nella fruizione, se è vero quanto affermato nel corso della stessa conferenza dal prof. Sacco, ossia la necessità di evitare, nella creazione di un’economia fondata sull’immateriale, proprio il customer orientation, pena, aggiungiamo noi, una sorta di decadenza televisiva alla ricerca di audience, con effetti speciali e fuochi d’artificio, chissà magari ancora atti a risolvere in certe forme di esotismo le possibilità della produzione letteraria sarda.
Pure sono innegabili significative opere che si vanno affermando al di là di questo gioco, con una precisa consapevolezza della complessità della questione identitaria che tanto è vitale quanto più è disposta ad ibridarsi con altre complessità, o al più tutelata in un luogo inaccessibile, negandosi ad ogni rappresentazione che intenderebbe identificarla, una sorta di chora semiotica, come è giusto che sia, chiamata a svolgere la funzione di muto richiamo per nuove produzioni di senso nel complesso di memoria e futuro. E perché la nostra condizione originaria è sempre quella dell’esilio, e perché la radice o l’ “ancora” di quella condizione si sottrae ad ogni forma di rappresentazione, e acquista forme di luogo utopico, ecco che siamo chiamati a dire e a scrivere, a parlare e ad interrogarci sulla nostra origine, sull’identità.
Si va via certo molto più ricchi da Macomer. Scorrendo lungo la 131 ancora ritorna con nostalgia la maggiore vicinanza del libro, la eco dei molteplici temi di dibattito che l’Aes e gli altri organizzatori hanno predisposto, così come gli incontri, talvolta anche casuali, con amici e scrittori.
La diversificata offerta e la disponibilità al confronto aprono ulteriori scenari per il dibattito culturale in Sardegna, mentre si va precisando la necessità di un decentramento delle iniziative culturali. Forse questa mostra del libro dovrebbe proporsi con un’articolazione più strutturata nel corso dell’intero anno, nei diversi paesi della Sardegna e attraverso diverse iniziative, rafforzando una più adeguata strategia di comunicazione, anche sottolineando il suo essere davvero presidio di lettura, ovvero di crescita civile, magari coinvolgendo ancora con più decisione le scuole per una civiltà delle idee e della parola.

Nessun commento: