sabato 27 ottobre 2007

Editoria e letteratura sarde ora rivendicano un “marchio” esclusivo e orgoglioso (L'Altra Voce, 27 ottobre 2007)

Editoria e letteratura sarde ora rivendicano un "marchio" esclusivo e orgoglioso.
Non è solo identità ma una realtà affermata.

di Francesca Madrigali (L'Altra Voce, 27 ottobre 2007)


All'inizio era un sussurro nemmeno troppo timido, soffocato però dalle troppe voci italofone, ora è un grido che sa di orgoglio, rivendicazione della propria identità e anche un po' del «te l'avevo detto». L'editoria e la letteratura sarda non sono più un fenomeno sottotraccia, titolo dell'incontro svoltosi ieri a Macomer in uno degli spazi delle ex Caserme Mura che ospitano la settima edizione della Fiera del libro. Hanno partecipato alla tavola rotonda sul tema “La produzione letteraria in lingua sarda: un fenomeno sotto traccia” Antoni Arca, Francesco Cheratzu, Salvatore Fozzi, Gian Gavino Irde, Paolo Pillonca, Nicola Tanda, Salvatore Tola. Autori, editori e protagonisti a vario titolo del panorama culturale sardo, coordinati da Ottavio Olita, che hanno discusso della letteratura in lingua sarda come parte fondante del bagaglio culturale dell'isola, talmente importante da auspicare un futuro in cui la propria diversità culturale venga riconosciuta a livello mondiale, attraverso il simbolo più importante per un libro in commercio: il codice ISBN, ovvero il numero di 13 cifre (prima erano 10, ma ora tutti dovranno adeguarsi), posto di solito sopra il codice a barre nella copertina, che identifica univocamente un titolo, e solo quello.
L'apparentemente innocua sequenza di numeri nasconde invece importanti significati commerciali, “politici” e identitari: il 978 iniziale è il cosiddetto “codice libro”, l'88 è variabile ed è il codice identificativo del gruppo linguistico, ovvero della nazione, nel nostro caso dell'Italia; seguono il gruppo di cifre che individua l'editore, quello specifico del libro e l'ultima cifra, detta “di controllo”.
Francesco Cheratzu, delle Edizioni Condaghes, ricordando coloro che tempo fa affermavano che il sardo non fosse «adatto alle traduzioni dei grandi classici» o che non fosse possibile un correttore ortografico in sardo (eventi entrambi verificatisi con successo e nel caso della poesia, come ricorda Gian Gavino Irde, può anzi capitare che la traduzione renda Quasimodo «meno ermetico»), ha fatto presente la necessità di un codice identificativo a parte per la letteratura sarda. Ovvero, un numero diverso da quell'88 che oggi identifica un libro appartenente alla letteratura sarda come italiano.
Il significato è chiaro: la Sardegna ha un suo sistema linguistico, e una produzione letteraria corrispondente, e ha il diritto di chiedere un ISBN a parte che la renda immediatamente riconoscibile. Nessun integralismo identitario, ma «un riconoscimento a livello mondiale della nostra specificità, nonché una utilità commerciale per la letteratura sarda».
Non sarà facile, se si decidesse di portare avanti questa richiesta: i codici ISBN vengono forniti dall'agenzia Informazioni Editoriali, sotto la supervisione dell'AIE (Associazione Italiana Editori), ma i requisiti per la Sardegna ci sarebbero tutti. Il sistema linguistico innanzitutto, e poi la consistenza della produzione letteraria in lingua sarda. Il suo apparente paradosso sta soprattutto, da un lato, nell'essere sempre stata abbastanza ignorata dalle istituzioni, fatte salve le recenti dimostrazioni di sensibilità dell'assessore alla Cultura Maria Antonietta Mongiu, e dall'altro il poggiare comunque su numeri di tutto rispetto e su un'attenzione crescente.
Antoni Arca ha ricordato che a datare dal 1980, con l'uscita di una raccolta di racconti di Salvatore Patittu, sono reperibili 200 volumi di narrativa in sardo cui corrispondono circa 111 autori, più un centinaio di autori presenti nelle raccolte. Si tratta di un'ottantina di romanzi, alcuni con diverse ristampe, segno inequivocabile che il pubblico esiste e risponde alle sollecitazioni. Il problema è però la confusione che regna sotto il cielo dell'editoria sarda: dopo lo sviluppo vorticoso degli anni 80, ci si trova talvolta ad incontrare libri con il titolo in sardo ma scritti in italiano o viceversa, senza poterli chiaramente identificare, o vedere ignorati alcuni autori come l'agronomo Giuseppe Dessì che nel 1963-64 pubblicò per Fossataro due volumi interamente scritti in campidanese, che ebbero grande successo di pubblico e che per la cronaca sono stati comunque attribuiti all'altro Dessì, quello del ben più noto “Paese d'ombre”.
Il gradimento della produzione letteraria in lingua sarda sta forse nel fatto che in Sardegna la poesia, primo veicolo della letteratura, è sempre stata un po' ovunque, a prescindere dalla condizione sociale ed economica, come ricorda anche Salvatore Tola, autore di una antologia edita da Cuec. La tradizione dell'oralità ha conservato in salute la poesia e la prosa sarda, di cui hanno peraltro tracce già negli antichi condaghes.
A proposito di tracce, è interessante scoprire che - per quanto riguarda il formato digitale - l'archivio in lingua sarda più grande e più fornito sta attualmente su un server dell'Università di Berlino. Altro paradosso delle nostre risorse culturali, e altro elemento sul quale riflettere scansando i campanilismi e puntando piuttosto a una politica di discussione e di unione delle forze per uno scopo comune, per riconoscere appieno alla letteratura sarda l'importante ruolo che riveste nella definizione della sardità.

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